Automazione e disoccupazione: una riforma per la crescita ed il benessere

Questo post costituisce un approfondimento di un tema trattato in questo post. Lo scopo è di stimolare il dibattito su azioni concrete di modifica del modello economico attualmente adottato

Sommario

Il sistema di produzione basato su tecnologie digitali richiede una forza lavoro minima, di gran lunga insufficiente a garantire una occupazione ai cittadini. Il risultato è una crisi inizialmente sociale causata dall’acuirsi della diseguaglianza e, successivamente, anche economica per mancanza di domanda. Si propone un sistema di riduzione dell’orario di lavoro a parità di reddito mostrandone gli effetti attesi sulle famiglie, le imprese ed il bilancio dello stato. La conclusione è che un tale sistema permetterebbe di intraprendere un percorso di sviluppo economico virtuoso adeguato alle nuove tecnologie.


Disoccupazione e Innovazione

A partire dalla rivoluzione industriale si è prodotto un incremento di benessere economico diffuso attraverso la costante innovazione tecnologica che produce automazione, riducendo la necessità di lavoro, e creazione di nuovi mercati, con la conseguente creazione nuovi posti di lavoro a salari mediamente superiori.

Anche se con molte oscillazioni, il duplice effetto dell’automazione sulla disponibilità di posti di lavoro (riduzione per i processi esistenti e creazione per nuovi mercati) ha permesso di mantenere un precario equilibrio tra i profitti delle imprese, essenziali per la loro creazione e sopravvivenza in contesti competitivi, ed il potere di acquisto della massa della popolazione, essenziale per garantire le vendite necessarie per generare profitti delle imprese.

L’ultima ondata di automazione ha rotto questo equilibrio dato che i nuovi mercati creati dalla rivoluzione digitale assorbono solo quote irrisorie della forza lavoro sostituita dalla automazione. La differenza di questa innovazione rispetto alle precedenti è che la diffusione di servizi digitali ha rotto il legame tra quantità prodotta e quantità di lavoro richiesta dalla produzione. Il risultato è che la crescita economica, misurata dall’aumento della produzione, non genera più un sufficiente aumento dei posti di lavoro creando quindi livelli crescenti di disoccupazione, sia certificata che nascosta dal precariato e sotto occupazione. Questa forma di tecnologia, e quindi anche quelle future, avranno bisogno di quantità sempre minori di manodopera.

Parte della disoccupazione potrà (e dovrà) essere assorbita da maggiori livelli di istruzione necessari per la gestione di tecnologie più sofisticate, e quindi allungando il periodo di ingresso nel mondo del lavoro. Dobbiamo però contemplare come plausibile e molto prossima la condizione in cui solo una minima quantità della popolazione deve lavorare per produrre la totalità dei beni e servizi richiesti dal sistema economico mentre la maggioranza delle persone non ha semplicemente alcun ruolo nel processo produttivo. Alla lunga, la mancanza di reddito derivante dalla crescente disoccupazione non potrà che colpire le stesse imprese che la hanno generata a causa della carenza di domanda per la propria produzione.

L’unica via d’uscita da questo modello economico disastroso consiste nell’intervenire sul rapporto tra reddito e lavoro concordando uno scambio tra imprese e società nel quale le prime rinunciano ad una parte dei profitti nel breve termine in cambio di una garanzia di sostenibilità economica nel lungo termine. Lo Stato deve farsi garante e promotore di un patto sociale che, essendo applicato a tutte le imprese, non influenza le condizioni competitive delle imprese garantendo la loro libertà nello scegliere le attività da svolgere e, al contempo, garantisce il benessere collettivo dei cittadini in un contesto sociale e produttivo sostenibile nel lungo periodo.

Lavorare meno, lavorare tutti

La ridotta necessità di impiegare lavoro per la produzione economica è una tendenza costante dello sviluppo economico. Un secolo fa J.M.Keynes prevedeva per il nostro tempo la possibilità di una società in cui i cittadini avevano bisogno di lavorare solo 15 ore a settimana dedicandosi nel resto del tempo ad attività più piacevoli. In nuova Nuova Zelanda si sta pensando di adottare la settimana lavorativa di 4 giorni per contrastare il calo di esportazioni causato dalla pandemia e favorire il turismo locale a compensazione del calo atteso di arrivi dall’estero. Vi è quindi la possibilità e la necessità di ridurre il tempo lavorativo aumentando il tempo per la cura personale, contrastando la diseguaglianza e creando nuova domanda. Vediamo una possibile modalità per spingere il mercato del lavoro in questa direzione in maniera morbida evitando passaggi traumatici che potrebbero destabilizzare il sistema produttivo.

L’obiettivo delle proposta del lavoro è di aumentare la capacità di consumo della popolazione mediante un aumento della occupazione prodotto da una riduzione generalizzata dell’orario di lavoro a parità di reddito percepito. Lo strumento consiste nell’applicare forti incentivi all’adozione di orari di lavoro ridotti da parte delle aziende mediante una appropriata rimodulazione dei contributi fiscali in funzione degli orari di lavoro previsti dal contratto.

Il principio è modificare le aliquote dei contributi per lavoratore a carico delle imprese in modo da rendere meno costoso l’utilizzo di un numero maggiore di dipendenti per un numero di ore lavoro limitato. Al contempo si possono disincentivare contratti a tempo pieno e, sopratutto, gli orari straordinari con l’applicazione di aliquote contributive punitive che rendano molto costoso per le aziende utilizzare lavoratori per un monte ore molto alto. Le norme devono assicurare che il reddito netto per i lavoratori sia comunque equivalente all’attuale reddito da contratti a tempo pieno, quindi senza alcuna riduzione di reddito netto per i lavoratori che avrebbero quindi molto tempo libero aggiuntivo.

Una misura del genere, i cui dettagli andrebbero progettati con attenzione mediante studi dei diversi mercati coinvolti, porterebbe solo vantaggi per tutti gli attori: le imprese, i lavoratori, ed il sistema economico nel suo complesso. Nella fase di transizione è probabile un incremento temporaneo di costi per lo Stato in termini di minori entrate che, nel tempo, si ridurrebbero fino a scomparire a seguito degli aggiustamenti del sistema in risposta alla riforma proposta. Vediamo in dettaglio i meccanismi che si attiverebbero per le diverse parti sociali.

Effetti sulle imprese

Per le imprese ogni modifica del contesto normativo rappresenta un problema aggiuntivo, ed è quindi da attendersi forti resistenze, sopratutto considerando che finora le imprese sono stato sempre incoraggiate, anche dalla legislazione, a ridurre il costo del lavoro mediante riduzione del salario e del numero di dipendenti. Anche invertendo gli incentivi, aumentando cioè i contributi nominali da versare per dipendente, si può comunque ottenere che, a regime, la riforma non comporti alcun aumento di costo complessivo del lavoro nel caso, come suggerito, che le parametrizzazioni degli incentivi rispettino alcuni semplici criteri.

La proposta permette potenzialmente ad una impresa di aumentare il numero di dipendenti riducendo il totale dei contributi versati per il complesso della forza lavoro impiegata anche aumentando leggermente il totale dei salari netti erogati. Nella realtà è possibile che le imprese scoprano di non aver bisogno di mantenere inalterato il totale delle ore di lavoro nel passaggio al nuovo regime, utilizzando quindi una ammontare di ore minore di quanto utilizzato in precedenza. Infatti è stato osservato che è possibile ridurre l’orario di lavoro semza alcuna riduzione della produttività complessiva. Di conseguenza, una volta si siano adeguate al nuovo sistema, ci si può aspettare che le aziende non subiranno incrementi di costo orario per lavoratore anche pagando salari orari netti più alti a dipendenti, purché siano assunti per un orario ridotto rispetto all’attuale. 

Vi sono molti possibili aspetti da considerare rispetto alle diverse condizioni aziendali. Ad esempio, è possibile che in alcuni casi vi siano dipendenti talmente rilevanti per il processo produttivo che sia impossibile ridurre i tempi della loro presenza, generando quindi costi aggiuntivi in termini di maggiori contributi. C’è da aspettarsi che questi casi siano rari e, in ogni caso, che la loro rilevanza per l’azienda sia talmente alta da rendere trascurabile l’incremento di spesa necessario per pagare l’incremento di costo senza creare problemi di sostenibilità economica per le imprese che, avendo tutte le stesse condizioni, non subirebbero crisi di competitività.

Al fine di dare il tempo alle aziende di pianificare ed implementare una strategia di gestione del personale adeguata ed evitare i possibili extra costi per le imprese nella fase di passaggio dal regime esistente al nuovo si può prevedere una fase transitoria di 1-3 anni durante la quale le aziende hanno l’opportunità di optare liberamente per il regime contributivo da adottare, con l’unico obbligo di passare al nuovo al termine del periodo indicato. In questo modo le imprese avrebbero tempo per pianificare senza traumi le modalità di gestione della propria forza lavoro senza subire, a regime, alcun costo aggiuntivo anche impiegando una quantità superiore di personale rispetto al regime tradizionale. 

Per le imprese fortemente esposte alla competizione internazionale l’eventuale incremento di costo del personale, se pur lieve, potrebbe creare riduzioni di competitività. A seconda dei casi sarebbe possibile adottare misure di protezione delle imprese mediante dazi motivati dal contrasto al dumping sociale. In ogni caso, la maggior parte delle aziende attive internazionalmente sono concentrate in settori ad alto valore aggiunto, e non avrebbero quindi difficoltà ad assorbire piccoli incrementi di costo del lavoro che, per queste imprese, rappresenta una voce trascurabile nel complesso del bilancio aziendale.

In generale, si ritiene che sia possibile applicare la proposta di riforma del sistema di incentivi consentendo alle imprese di mantenere lo stesso livello di costo del lavoro. Anche in caso di qualche deviazione, considerando che il costo del personale rappresenta mediamente circa il 15% del fatturato aziendale, lievi aumenti di spesa per le aziende dell’ordine di qualche punto percentuale non sarebbero tali da stravolgere le condizioni di sopravvivenza delle imprese. In caso di necessità si potrebbe comunque ricorrere ad un sostegno da parte del bilancio pubblico che andrebbe considerato come un temporaneo investimento il cui ritorno, sia finanziario che in termini di capitale sociale, è giustificato dagli effetti positivi sul sistema complessivo che descriviamo di seguito.

Effetti per le famiglie

Per il complesso delle famiglie la riforma proposta costituirebbe un vantaggio netto sia in termini di maggior tempo libero per i lavoratori impiegati che in termini di assorbimento della disoccupazione. Le famiglie avranno inoltre risorse, sia di tempo che di reddito, per aumentare i propri consumi ed adottare stili di vita generalmente più virtuosi per la società, ad esempio dedicandosi alla cura dei figli e dei familiari, come anche di attività culturali, studio ecc. Si creerebbero quindi le condizioni per una popolazione in grado di dedicarsi a tutte le attività altrimenti inaccessibili a gran parte della popolazione per carenza di reddito o di tempi disponibili.

L’incremento di occupazione porterà ad un calo della diseguaglianza di reddito con un aumento della partecipazione al lavoro da parte dei cittadini che hanno difficoltà a coniugare la vita professionale con quella familiare a causa della mancanza di tempo. La aumentata possibilità di avere famiglie con due redditi e che possono dedicare parte del tempo alla educazione dei figli non potrà che aumentare gli incentivi (o almeno ridurre le difficoltà) ai fini della natalità e a favore della partecipazione femminile al lavoro. Ci si può anche aspettare un incremento del reddito disponibile per le fasce medio-basse di reddito, quelle che presentano una quota di consumo maggiore, e quindi c’è da aspettarsi una maggiore crescita del reddito totale. Il maggior tempo libero non potrà inoltre che generare ulteriori benefici sia espliciti, come un maggior consumo di servizi locali, sia impliciti in termini di benessere generale grazie ad una maggiore libertà di gestire il proprio tempo senza grandi limitazioni finanziarie.

Effetti sul bilancio pubblico

Per quanto riguarda l’impatto netto derivante dalla misura proposta sui conti pubblici, è prevedibile un incremento netto di spese per lo stato nel caso tutte le imprese sfruttassero al massimo il nuovo regime di lavoro meno oneroso legato al minor impegno lavorativo. Si tratterebbe, in questo caso, di un investimento pubblico a favore di una migliore organizzazione distributiva e qualitativa della attività economica.

Questo risultato è però una possibilità molto remota in quanto ci si può aspettare che alcune aziende vorranno mantenere almeno una quota dei propri lavoratori a tempo pieno e sfruttando la possibilità di orario straordinario. Il regime fiscale e contributivo punitivo per questa scelta genererà risorse aggiuntive che, se opportunamente valutate, possono compensare, almeno parzialmente, la riduzione di versamenti derivanti da forme di impiego con contribuzione più leggera.

La maggiore disponibilità di reddito e tempo disponibili genererà inoltre uno stimolo alla attività economica sia finalizzata a servire i consumi derivanti dal maggior tempo libero della popolazione sia derivante da una maggiore imprenditorialità della popolazione. Di conseguenza ci si può aspettare un aumento delle altre entrate fiscali generali, e quindi una risultato netto sui conti pubblici meno costoso e, potenzialmente, neutrale o addirittura positivo.

Un percorso virtuoso di sviluppo economico

Ci sono infine da considerare gli effetti sull’evoluzione economico-sociale di una misura che, invece di subire e contrastare, accompagna e governa la naturale tendenza dei cambiamenti tecnologici a ridurre l’uso di forza lavoro. La necessità di impiegare una percentuale minore di tempo per soddisfare le necessità personali è ovviamente un fenomeno positivo in quanto permette di avere più tempo libero per consumo e formazione superiore. Diventa però una minaccia per l’ordine sociale e la sostenibilità di modello economico nel momento in cui si forma una barriera che separi chi è in grado di partecipare alla sempre più ristretta classe condivide il risultato economico della produzione rispetto alla crescente massa di società che, mancando la necessità di lavoro, non ha alcune possibilità di ricevere un reddito.

La proposta accennata sopra permette di eludere il dilemma posto dall’automazione, una necessità per i profitti delle imprese ma un costo sociale crescente in termini di disoccupazione. Con una adeguata regolamentazione è possibile condividere i frutti dell’avanzamento tecnologico tra profitti e benessere dei cittadini, quest’ultimo remunerato in parte con il tradizionale reddito ed in parte con maggior tempo libero. Di conseguenza le imprese sarebbero stimolate ad abbracciare e ricercare con maggiore impegno sia metodi produttivi avanzati, senza le resistenze opposte da sindacati e politici per la difesa dell’occupazione, aumentando quindi il tasso di innovazione del sistema e quindi garantendo una crescita di benessere senza limiti nel tempo.

Uno dei motivi per cui si otterrebbe questo risultato è che la maggiore disponibilità di tempo libero per la popolazione dotata di reddito creerebbe una nuova fascia di consumatori particolarmente virtuosi in termini di benessere generale. Si stimolerebbero infatti i servizi territoriali, per la cura della persona, le attività ricreative di volontariato e, in generale, tutte quelle attività economiche protette per natura dalla competizione internazionale, di conseguenza aumentando la stabilità economica del sistema e la sua capacità di crescita endogena.

Come ulteriore beneficio, la maggiore disponibilità di tempo libero grazie al minore impegno necessario per ottenere un reddito renderà possibile dedicarsi con maggiore facilità ad attività tra cui lo studio e la sperimentazione. Questi sono gli ingredienti fondamentali per la creazione di piccole imprese innovative che possono potenzialmente sfruttare approcci economici e tecnologici originali. C’è quindi da aspettarsi un contesto più fertile per la generazione di nuove attività produttive contribuendo alla crescita del benessere economico del paese.

In conclusione, la proposta permette di rovesciare il paradigma economico dominante negli ultimi decenni. Finora abbiamo considerato la prosperità economica come la massima priorità e condizione necessaria al fine di garantire il benessere della società. E’ il momento di riconoscere, al contrario, che nel lungo periodo la prosperità economica è un risultato ottenibile esclusivamente da una società composta da cittadini soddisfatti nelle proprie necessità fondamentali e liberi di perseguire le loro aspirazioni.

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