Chi ha Paura dello Spread?

Lo spread rappresenta la differenza tra il livello di interesse che il governo italiano ed il governo tedesco pagano per farsi prestare denaro. Nel mercato del credito è normale che chi presta soldi chieda tassi di interesse più alti per le classi di debitori a maggior rischio. In teoria, il tasso di interesse netto riscosso dai creditori considerate anche le perdite dovute ai prestiti non restituiti dovrebbe essere identico per qualsiasi prestito, allineandosi al tasso di interesse generale del sistema.

Questo approccio è sensato per i debiti fatti da privati, che siano imprese o famiglie, per i quali ci possono essere fallimenti o rimborsi parziali, e provocare costi per i creditori a causa del mancato rimborso del prestito. Ma lo stesso approccio è totalmente privo di senso per il debito pubblico di un paese avanzato. Per capirlo è sufficiente verificare qualche semplice dato.

Guardando alle statistiche la lista completa di default su debito pubblico riguardano, con pochissime eccezioni, paesi arretrati di dimensioni assai modeste. I grandi default sono stati quasi sempre il risultato di guerre o rivoluzioni. Anche contando le crisi più recenti, come i casi della Grecia o dell’Argentina, si tratta di casi assai particolari, e comunque abbondantemente previsti.

I titoli finanziari sono normalmente valutati dalle agenzie di rating. Ad esempio, il debito italiano è valutato da Standard & Poor come BBB. Secondo le sue statistiche la percentuale media di mancato rimborso di titoli con questa valutazione è dello 0.18% (pag. 11), che, tradotto, vuol dire che 1,79% di probabilità che il debito italiano non sarà restituito in tutto o in parte entro 10 anni. Questa percentuale è assolutamente priva di qualsiasi fondamento. La percentuale di debito pubblico non ripagato da paesi europei è una frazione minuscola di quella percentuale calcolata su un secolo. Se poi si considera la percentuale di default per paesi in condizioni simili a quelle attuali nel nostro paese (cioè senza guerre o rivoluzioni violente all’orizzonte), il valore che si ottiene è esattamente pari a zero.

Lo spread quindi non ha alcuna motivazione quale indicatore di un rischio di default. La sua reale motivazione non è dovuta al rischio di mancato rimborso del debito, ma alle modalità con cui si determina il valore di un titolo nel breve e medio termine sui mercati finanziari. Lo spread che vediamo infatti calcolato minuto per minuto non è il tasso effettivamente pagato dal governo per vendere nuovo debito, ma il risultato di un semplice calcolo legato alla compravendita di titoli di stato esistenti tra speculatori finanziari.

Facciamo un esempio. Immaginiamo che l’operatore A ha acquistato un titolo pagato 100€ che rende 10€ l’anno, quindi ad un tasso del 10%. Se A vende il titolo a B a 50€, allora il tasso di interesse reale che percepisce il nuovo proprietario non sarà più il 10%, ma sarà il valore della cedola che percepisce, 10€, diviso il prezzo a cui lo ha comprato, 50€; cioè 10/50=0.20, il 20%. Perché A dovrebbe rimetterci vendendo un titolo ad un prezzo inferiore a quanto lo ha pagato? Il motivo è quello classico di qualsiasi mercato speculativo: perché teme che il prezzo scenderà ancora di più in futuro. E, come in ogni mercato speculativo, le azioni degli operatori tendono ad autorealizzarsi: temendo che il prezzo di un titolo cali lo metterà in vendita ad un prezzo minore, e quindi lo farà scendere realmente a prescindere dalla fondatezza del timore iniziale. Gli operatori finanziari non si preoccupano di stimare quale sia il valore reale dei titoli che trattano, ma si preoccupano esclusivamente delle aspettative degli altri operatori di mercato.

In conclusione, lo spread non ha alcun legame con la probabilità che il governo italiano non rimborsi i propri debiti. E’ invece il risultato delle aspettative degli operatori finanziari: si aspettano che il prezzo dei titoli italiani scenda, e quindi lo faranno scendere realmente, spingendo in alto i tassi di interesse. Chi ci rimette è la finanza pubblica, cioè, in ultima analisi, i contribuenti italiani. Senza alcun motivo i governi italiani si troveranno a sborsare cifre molto più alte di quelle di altri paesi per ricevere le stesse quantità di denaro in prestito.

Ci sono molte possibili soluzioni a questo paradosso, e non è questo il luogo per discuterne. Quello che è certo è che è necessario opporsi ad una forma di contrattazione finanziaria perversa, nata per gestire il debito privato a rischio di default e che non può essere usata per trattare il debito pubblico di un paese privo di tale rischio.

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