Sindrome di Stoccolma

Sono passati due mesi dalle elezioni. All’interno del PD, il partito che ha guidati i governi dell’ultima legislatura, si registrano i seguenti fatti:
1) La dirigenza non è cambiata con Matteo Renzi saldamente al comando che decide in completa solitudine la linea da seguire.
2) Non c’è stato neanche un accenno di riflessione su quali provvedimenti del governo abbiano causato il dimezzamento del consenso.
3) Silenzio assoluto anche su quali contenuti dovrebbe avere la proposta politica per il futuro, a parte vaghissimi riferimenti alla necessità di un riavvicinamento al “territorio”.
L’unica certezza è che i parlamentari del PD sono disposti ad appoggiare un governo guidato dalla Lega, Forza Italia ed i fascisti, forse per (ri)fare l’ennesima legge elettorale se non addirittura una riforma costituzionale. Questa linea, si sostiene, è preferibile a contrattare i contenuti di un governo con il M5S, governo la cui sopravvivenza sarebbe costantemente sotto scacco a causa della limitatissima maggioranza che lo sosterrebbe, e che quindi darebbe al PD un potere di controllo enorme potendo farlo cadere in ogni istante.
La cosa più sorprendente è che “la base” (qualunque cosa si possa definire come tale) sembra appoggiare questa linea (ammesso che si possa definire una linea politica). Escludendo la possibilità che questo appoggio sia un miraggio generato con la manipolazione del social, evento comunque non impossibile, c’è da chiedersi che persone siano quei militanti che sono disposti a rinunciare ad avere un’influenza sul programma di un governo anche a costo di sostenere un governo di segno opposto alle proprie idee.
dati relativi agli iscritti ed ai partecipanti alle primarie mostrano il dimezzamento di ambedue i valori negli ultimi 10 anni, in linea quindi con la dinamica del consenso elettorale. Si può ipotizzare quindi che “la base” del Partito Democratico si stia riducendo a persone che hanno totale ed incondizionata fiducia nella dirigenza non per le sue azioni ma per la persona persona.
Una volta i grandi leader politici incarnavano l’ideale del partito che guidavano. Ora sembra che anche per il PD sembra valere lo stesso meccanismo degli altri partiti personali: il leader è l’ideale, e gode del sostegno incondizionato anche di chi ha solo da perdere dalle sue azioni.

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